Ho iniziato a leggere Virginia Woolf per colpa di Emma Thompson. So che sembra una frase senza senso ma adesso mi spiego.
Love actually: è un film del 2003, ormai un classico, che vede come protagonisti tra gli altri: Hugh Grant, Colin Firth, Emma Thompson, Liam Neeson, Alan Rickman e Keira Knightley.
Nel film sono narrate storie diverse, in posti sparsi nel mondo: Inghilterra, America, Francia. L’unica cosa che hanno in comune è l’amore nelle sue molteplici forme e dimensioni.
Emma Thompson nel film è sposata con Alan Rickman, che nel frattempo ha un’amante. Scopre di essere stata tradita perchè riceve in regalo un disco di Joni Mitchell, invece della collana che aveva visto (di nascosto) comprare al marito pensando che fosse per lei.
Qui un breve spezzone di questa scena, che tra l’altro è una delle tante magistrali interpretazioni di Emma Thompson.
Tutto questo per dire che Joni Mitchell è uno quei nomi che si sentono spesso citati, un po’ come Virginia Woolf. Un po’ per darsi un tono, un po’ perchè forse vale davvero la pena di sapere chi sono e perchè hanno fatto la storia.
Ecco perchè, per colpa di Emma Thompson, mi sono detta che dovevo leggere uno di questi mostri sacri che sento spesso a cui non mi sono mai avvicinata.
L’approccio iniziale non è stato dei migliori.
La trama della Signora Dalloway
Il libro racconta la giornata di Mrs. Dalloway che alle 10:00 del mattino del 1923 esce per acquistare dei fiori in Bond Street per una festa che si terrà a casa sua in serata.
Mentre è a passeggio incrocia con lo sguardo due ragazzi disperati, spaesati Semptimius Smith e la moglie Lucrezia. Lui, impazzito a causa della guerra è costretto dalla moglie a sedute con lo psicologo, che promette di curarlo rinchiudendolo in clinica.
Quando venne la pace si trovava a Milano, alloggiato nella casa di un albergatore, con un cortile, fiori nei mastelli, tavolinetti all’aperto, figlie che confezionavano cappelli, e con Lucrezia, la figlia minore, si fidanzò una sera, quando fu preso dal panico – di non provare più nulla.
Clarissa rientra a casa e riceve la visita inaspettata di un suo vecchio corteggiatore Peter Walsh, messo da parte a causa del suo carattere, in favore del più morigerato Richard Dalloway.
La narrazione continua spostandosi sulla festa ormai iniziata e sulle abilità di Clarissa Dalloway quale perfetta padrona di casa.
A fare da sfondo e filo conduttore a tutta la vicenda: sentimenti misti di amore, odio, inquietudine, bellezza nascosta.
lo stile di Virginia Woolf
Parlando schiettamente, devo dire che non è un libro facile da seguire, se perdi il filo sei fregato.
Probabilmente è giusto così; perchè un libro che merita il suo tempo.
Virginia Woolf utilizza la tecnica dei monologhi interiori, una vera innovazione allora, per descrivere l’ambiente circostante.
Ecco che allora una foglia caduta, una finestra aperta, le portano alla mente dei ricordi che vuole condividere con il lettore in una serie infinita di pensieri, virgole e flussi di informazioni in cui, se non stai attento, rischi di dimenticarti chi era il soggetto da cui è partito tutto.
Superato questo aspetto, non secondario, è una narrazione armoniosa che vale la pena di leggere.
Se fosse un quadro avrei apprezzato l’accostamento perfetto dei colori, la profondità, la sua bellezza, forse non al primo sguardo. Ma visto con attenzione ne avrei apprezzato l’ingegno.
Non mi riesce un paragone in ambito letterario ma sicuramente può soddisfare cercatori di letture classiche, alla ricerca di un libro da far decantare per apprezzarne a pieno il suo valore.
Complesso ma non irraggiungibile.
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