Credo di aver già detto più volte che non sono mai stata in grado di scrivere poesie.
Mentre non ho mai sofferto della crisi da foglio bianco davanti a un tema narrativo, scrivere poesie equivale a mettermi davanti ad una tela e chiedermi di riprodurre Van Gogh. Probabilmente il risultato finale sarebbe un miscuglio mal riuscito di colori informe.
Forse anche per questo stimo coloro che sanno tradurre in versi i sentimenti. Mi sembra un po’ una magia.
Il libro di Stefano Di Ubaldo gode di un incanto, perché è un’opera in versi che a tratti è una vera e propria narrazione breve. Non c’è una trama, ogni poesia ha una storia a sé eppure c’è un filo conduttore che le lega tutte.
Qual è? In verità credo che la risposta sia molto soggettiva. Io ho visto un percorso di crescita, qualcuno, ho letto, ha visto la libertà.
Ogni parte del libro è introdotta da un testo Posti Riservati, che ti traghetta alla fase successiva.
Il linguaggio intelligente, originale e il modo di dar vita ai versi fanno di quest’opera una bellissima scoperta.
Certi giorni
mi piacerebbe uscire di casa
con un pacco di candele in tasca, di quelle da chiesa,
che proteggono le preghiere.
E alla pausa sigaretta
di una qualunque serata tra amici, avere anch’io un motivo
per chiedere nel bisogno:
“Scusa, ce l’hai un accendino?” Procedere all’innesco,
ringraziare con sorriso
e godermi un momento di libertà, mentre fornisco il mio contributo di luce passiva
all’aria che respiro,
tra una chiacchiera e l’altra.
Leggetelo. Potrete sempre giocare al gioco delle macchie e rispondere anche voi alla domanda: cosa hai visto?
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