storia di una capinera

Triste, anzi no, di più.

Ci sono 3 cose che non mi piacciono nel modo più assoluto 1.la gelatina, 2.il fegato, 3.gli uccelli.
Penso che se fossi obbligata, sotto tortura o morta di fame, potrei essere in grado di mangiare sia il fegato che la gelatina; ma mai e poi mai potrei trovarmi in una stanza chiusa a tu per tu con un volatile. Vivi, morti, impagliati, malandati, finti, in nessuna di queste accezioni potrei sopportarne la presenza.

Avrei dovuto farmi guidare dall’istinto e abbandonare l’idea di leggere un libro che riporta proprio nel titolo il nome di un pennuto. Tuttavia è un ebook di dominio pubblico e quindi è gratis, mi lascio tentare.
Per fortuna non è una dissertazione sul mondo alato, la capinera è solo la metafora per introdurre la storia triste di Maria: orfana di madre, costretta dall’età di 7 anni a vivere in convento, destinata a diventare suora.

A causa dell’epidemia di colèra che semina devastazione a Catania e prima di prendere i voti permanenti, Maria trascorre un breve periodo nella campagna siciliana con il padre e la sua nuova famiglia.
Il libro è narrato in prima persona dalla stessa Maria attraverso le lettere che scrive alla sua amica Marianna.
Qui, proprio come un uccello dopo lungo tempo in gabbia, riscopre la vita, i colori, i profumi, l’allegria e la felicità di trovarsi fuori, libera dalle costrizioni claustrali.

Tutto qui è bello, l’aria, la luce, il cielo, gli alberi, i monti, le valli, il mare! […] Benedetto colèra che mi fa star qui, in campagna! Se durasse tutto l’anno!

Purtroppo, perché sarà la sua grande rovina, si innamora del giovane Nino che le dedica attenzioni inaspettate e nuove. Ma la sua vocazione imposta le impedisce di dare seguito a questo sentimento, che si trasforma nelle successive 100 pagine da infatuazione giovanile a struggimento continuo e tortura massima.
La bella casa soleggiata lascia il posto alla clausura, ai capelli rasati in atto di penitenza perenne, agli abiti neri che fanno già presagire la morte.

Speravo davvero che ad un certo punto Nino sradicasse la grata del convento, trovasse un modo per impedirle di prendere i voti permanenti. Ma questo è Hollywood non certo La Sicilia del 1856, in cui tutto avviene per impostazione familiare, schemi prefissati, obbedienza forzata.

Ho confidato che Maria avesse un po’ di Gertrude (La Monaca di Monza), un po’ di superbia, di astuzia, di ribellione, trovasse una via di uscita, una porta segreta per fuggire.
Maria però è una capinera in gabbia che vede una porzione di cielo per cui sperare di vedere  una parte maggiore di creato, un’altra vita, è un peccato mortale un crimine di cui chiedere perdono.

L’amo! E’ un’ orribile parola! E’ un peccato! E’ un delitto!

Se fossi stata Marianna, avrei preso Maria per le spalle, l’avrei scossa fortissimamente e le avrei urlato con tutto il fiato: Ragazza svegliati!
Tuttavia tra noi ci sono 162 anni di storia e di emancipazione, anche grazie a Verga che denuncia le monacazioni forzate molto in voga allora.
Grazie Giovanni, a me il velo sarebbe stato malissimo!

 

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