libri di cucina

65.

Ieri mi sono soffermata su un articolo sul New Yorker, dedicato alla cucina, l’editoriale era intitolato: I migliori libri di cucina del secolo fino ad ora.
Voglio dire mica pizza e fighi (esclamazione alquanto azzeccata). Mi aspettavo ovviamente di vedere con orgoglio nostrano fior fiore di libri alla cucina italiana.
Macché, neanche l’ombra.

Incipit

I primi due paragrafi sono dedicati a internet, o meglio sono dedicati al massacro dell’industria libraria da parte delle rete. In tutte le categorie, ad eccezione della cucina.
Impossibile negare che internet, ma soprattutto i video tutorial hanno cambiato radicalmente il modo di concepire la cucina moderna, rendendo a portata di tutti anche le ricette più difficili.

Potrei citare mille esempi di quelli che mi lasciano incollata alla schermo quotidianamente, ma uno su tutti Fatto in casa da Benedetta, che con la semplicità ma soprattutto la praticità di una mamma, con ingredienti comuni riesce da tirare fuori manicaretti di tutto rispetto.
Vorrei solo ricordare a onor di cronaca, che grazie a un tutorial online, persino io sono riuscita a fare la maionese.

Eppure a quando pare, la carta stampata in questo settore non è stata toccata dalla crisi.
Questo grazie al fatto che i libri di cucina hanno saputo reinventarsi, non più limitandosi all’esecuzione di un procedimento ma mettendosi a servizio di un modo di essere, di un luogo, di una tecnica, di una voce. Cambiando quindi in un certo senso l’approccio ai fornelli.

La scrittura culinaria

Segue un elenco dei Best Cookbooks, secondo la redattrice, dei migliori volumi scritti dall’inizio del millennio fino ad ora, cito l’autrice:

Ma ciò che mi costringe e mi delizia del mio particolare catalogo è che ogni libro è, in fondo, un testo che insegna piuttosto che dettare, che enfatizza la cucina come una pratica piuttosto che un semplice mezzo per un pasto. Sono libri che non solo hanno ottime ricette e immagini meravigliose, ma traggono un vantaggio esuberante dalla loro forma, sovvertendo, riconsiderando e riformulando le regole ei limiti della scrittura dei libri di cucina.

Da “The River Cottage Cookbook,” by Hugh Fearnley-Whittingstall (2001) che invita tutti a coltivare il proprio orto e i propri animali ricordando che il cibo non è solo ciò che mangiamo ma fa parte di un ciclo naturale, alla cucina molecolare di “Modernist Cuisine: The Art and Science of Cooking,” by Nathan Myhrvold, Chris Young, and Maxime Bilet (2011) per finire con “Feast: Food of the Islamic World,” by Anissa Helou (2018).

E noi?

Che fine hanno fatto i libri di cucina Artusi, su cui generazioni di nonne, bisnonne e mamme hanno imparato a cucinare? E La Cucina Italiana che per anni ha vegetato nella sua versione in volumi rilegati a spirale nella mia libreria, rispolverata solo a Natale per la ricetta dell’Aspic (mai venuto per altro).

Senza richiamare la Stele di Rosetta del frigo, posso dirmi però sorpresa che non venga citata la cucina mediterranea, capostipite indiscusso di qualunque dieta che si rispetti.
Però forse, anche questo, e più di tutto per noi, che ci ergiamo sui troni della cucina del mondo, serve a comprendere i cambiamenti a cui assistiamo. Anche il cibo si è globalizzato.

E allora ben vengano le ricette occidentali, i felafel, connubi improbabili di prosciutti e mandorle, torte multistrato e barbecue a portarvia.

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