Non avevo capito niente, è il primo di una fortunata serie di romanzi dedicati all’Avvocato Malinconico, raccontati da Diego De Silva.
Ne avevo sentito un gran ben parlare e ho letto pareri entusiasti: “bellissimo e divertentissimo”, “non potrai non affezionarti all’Avvocato Malinconico”, “non so come ha fatto a scoprire solo oggi questo libro, da adesso in poi non ne farò più a meno”. I soliti commenti che a lungo andare ti convincono a premere il tasto “acquista ora”.
Niente, non mi è piaciuto. Forse devo ancora ragionarci un po’.
La trama
Vincenzo Malinconico fa l’avvocato, o meglio, perde tempo facendo finta di fare l’avvocato.
Ha due figli che adora e una ex moglie che l’ha lasciato per un architetto, con cui però ha ricadute frequenti e incontri nascosti.
La sua carriera è praticamente nulla, condivide uno studio con altri 3 professionisti, in una stanza arredata con i mobili Ikea che lui chiama per nome.
Vita sentimentale nulla, vita lavorativa ed economica forse ancora peggio.
Un personaggio, Vincenzo, apparentemente e occasionalmente senza spina dorsale, mai una decisione chiara, mai un’azzardo, inadeguato a qualunque circostanza, fa lunghi dialoghi interiori “averi voluto dire, ma non ho detto”…
Ad un certo punto in questo vuoto cosmico in cui naviga gli si palesano due inversioni di rotta in un colpo solo: viene nominato d’ufficio come avvocato per difendere un becchino di camorra detto “Mimmo ‘o burzone”, e l’avvocatessa Alessandra Persiano, la pm più bella di tutto il tribunale si innamora di lui.
Tra uscite fuori luogo, scarsa voglia di lavorare e discorsi interiori arriviamo all’epilogo di “Non avevo capito niente“, che riassume già nel titolo l’atteggiamento dell’Avvocato Malinconico nei confronti un po’ di tutto.
Melanconico, a discapito del nome, è un tipo simpatico, capace di grandi riflessioni ma senza rinunciare all’ironia.
il carattere Malinconico
Molti a cui è piaciuto il libro, moltissimi devo dire, hanno simpatizzato da subito con Vincenzo Malinconico, perchè, dicono, potremmo essere tutti noi. Malinconico è l’antieroe per eccellenza: svogliato, inconcludente, confuso, ma capace anche di raggiungere inaspettati traguardi quando ci si mette d’impegno.
In questo primo incontro non ho trovato questo feeling con il personaggio, anche se devo dargli atto, che a differenza di alcuni illustri colleghi avvocati o magistrati, il tono è senza fronzoli, volutamente ignorate, nel senso del termine: Vincenzo Malinconico è uno che ignora il diritto penale, che dimentica di firmare il verbale e che non conosce le date di scadenza di un’udienza.
In questo senso, se non sei pratico di tribunali e casi giudiziari senza dubbio ti trovi vicino ad un amico.
A tratti è divertente. E’ vero. Tuttavia non lo definirei un libro tale. Piuttosto a volte tagliente a volte amaro, troppo divagante. Ci si affeziona a Malinconico? Non lo so, ho bisogno di un po’ di tempo, gli darò un’altra possibilità.
Apro parentesi
Non avevo capito niente, mi dà l’occasione per aprire una parentesi e poi chiuderla con altrettanta velocità, per riflettere su questo:
leggo molto, come molti, e sempre più spesso mi imbatto in libri che non lasciano niente alla fantasia. Mi spiego.
Ho sempre pensato che leggere, perchè così mi è stato insegnato, fosse molto utile per acquisire un linguaggio più ricco, per fare vocabolario, a scuola si diceva così. Per migliorare la scrittura.
Dall’altro lato la scrittura non è un film, i personaggi prendono vita nella tua testa, li vesti e li dipingi come vuoi e quello che fanno te lo immagini. Non lo vedi. Questo è il bello. Il diverso.
Ultimamente leggo sempre più libri che hanno un linguaggio volutamente volgare, a volte forzato, ostentato, senza nessuna necessità. I rapporti di coppia sono spiegati nel dettaglio, senza lasciare nulla al caso.
Non sono puritana, non mi scandalizzo certo per una parolaccia in un libro. Ma mi chiedo se tutto questo voler esplicitare sia realmente necessario. Se essere l’ospite obbligato che spia in camera da letto sia necessario ai fini della trama, indispensabile. Io non credo.
De Gregori cantava in “non ce niente da capire”
Però Giovanna io me la ricordo,
faceva dei giochetti da impazzire
e non c’è niente da capire
Tutto qui. Che giochetti facesse Giovanna, non ce lo dice ma ci lascia liberi di immaginare, non è forse sufficiente?
Non so. Mi chiedo spesso se questo trascinarsi verso la volgarità a tutti i costi sia sintomo delle richieste dei lettori o se semplicemente sia lo specchio del tempo.
Chiuso parentesi
Detto questo, non vi resta che leggere Non avevo capito niente, (link Amazon) di Diego De Silva e dirmi la vostra opinione.
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