Montagne, cime, salita, libertà
Mio papà era un grande fan di Walter Bonatti, così alla ricerca di un libro per la sezione Pensieri di corsa la scelta mi è sembrata obbligata.
Ho capito leggendo Montagne di una vita perché gli piacesse tanto: parla di un alpinismo vecchio stile, non solo per i tempi ( dal 1949 in su..) ma nel modo di concepire la montagna.
Senza presunzione, senza attrezzatura futuristica o all’ultimo grido, solo con le proprie capacità e con la voglia di salire sempre più in alto.
Mio padre ha scalato il Monte Bianco due volte, la prima “spedizione” per caso, con suo fratello e due amici. Attrezzatura nello zaino:
- un pollo arrosto
- un bottiglione di vino
- gallette
Mario uno degli amici, non aveva mai messo i ramponi, infatti casca rovinosamente al primo piede sul ghiacciaio. Ma in cima arrivano tutti e fieri di aver conquistato la vetta.
Racconto questo aneddoto perché mi dispiace ammetterlo ma uomini così non ne fanno più. Ne come Walter Bonatti, né come mio padre.
Quale persona coscientemente, oggi, scalerebbe la montagna più alta d’Europa con un pollo arrosto nello zaino?
Tralasciamo l’abbigliamento “tecnico” che prevedeva: pantaloni di velluto e guanti di lana, camicia felpata e maglione doppio filo, corda di canapa, un sacco gommato invece del piumino a -18°.
Eppure così con pochi soldi e molto cuore si arrivava in cima al mondo. Adesso con pochi soldi non si arriva neanche a fine mese.
Dentro a Le montagne di una vita ci sono tante esperienze, tante scalate, dagli inizi con la salita al Gran Capucin, la spedizione del K2, le scalate in solitaria, la tragica scalata del Monte Bianco, il Cervino, fino all’abbandono dell’alpinismo in favore delle esplorazioni in terre ancora poco conosciute come la Patagonia.
E’ un libro molto sentito che non nasconde le sofferenze e le sconfitte, non solo fisiche, che hanno costellato la carriera alpinisitica di Bonatti:
E’ per conoscermi meglio che ho scalato montagne “impossibili”.
C’è più di tutto la voglia di fare chiarezza su tanti fatti che hanno infangato la sua reputazione come atleta e come compagno di scalata. Spesso criticato per le sue scelte ardite e per la sua necessità di andare oltre il limite.
Eppure io, che gli 8000 metri mi limito a guardarli dall’aereo non posso che essere d’accordo con quella visione pura della montagna alla portata di pochi eletti come un mostro sacro che va protetto. Un luogo prezioso ad appannaggio di alcuni. Mi piacerebbe arrivare lassù, un po’ più vicino al cielo. ecco forse, mi metterei un piumino!
Le “impossibili” cime, scelte dall’alpinista come propria misura, andrebbero affrontate con mezzi puramente umani, non ricorrendo a tecniche spiananti, che hanno l’effetto di un rullo compressore. Nè si dovrebbe dimenticare che le grandi montagne hanno il valore dell’uomo che vi si misura, altrimenti rimangono soltanto sterili mucchi di pietra.
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