Insolito, ma non meno attraente.
Gianrico Carofiglio non ci racconta dell’avvocato Guerrieri, e neanche di un caso giudiziario. Ma non per questo il soggetto è meno interessante e la storia meno coinvolgente.
Antonio è un ragazzo torinese figlio di genitori separati, entrambi brillanti nei loro impieghi, il padre matematico preciso e brillante, la madre insegnante di filosofia.
A 12 anni, gli viene diagnosticata una forma di epilessia che lo costringe a vivere come in una bolla: niente più calcio, niente sudate, niente bibite gassate, niente che possa scatenare “episodi”.
Fino a quando il padre scopre a Marsiglia un luminare che accetta di visitare il ragazzo a cui raccomanda di vivere una vita del tutto normale con la promessa di rivedersi l’anno successivo per valutare i miglioramenti e sottoporlo ad un ultimo test, il più importante: rimanere sveglio per 3 giorni di fila.
Se il test viene superato anche la malattia può considerarsi tale.
A un anno di distanza il ragazzo e il padre con cui ha sempre avuto un rapporto conflittuale, partono per Marsiglia.
Il viaggio si rivela una vera e propria scoperta reciproca nel rapporto padre/figlio giorno dopo giorno, avventura dopo avventura.
Il linguaggio è sobrio, tenero, d’effetto in linea con la storia.
Credo che rappresenti molto bene la realtà di molti genitori: i figli che non parlano, i muri di gomma dell’educazione, lo scontro adolescenziale. Però getta anche un barlume di speranza a non mollare a cercare a discapito dei musi lunghi e dei “non ne ho voglia” un punto di incontro di dialogo in cui scoprirsi molto più simili, molto più familiari.
Ci sono occasioni in cui occorre parlare e non bisogna dare nulla per scontato. Poi ci sono occasioni in cui, invece, devi rimanere in silenzio perché nell’aria c’è qualcosa d’impalpabile e prezioso, e le tue parole potrebbero disperderlo in un istante.
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