correre ovvero: una sofferenza opzionale
Leggo questo libro per uno scopo ben preciso, perché da oggi inauguro una nuova sezione di questo sito dedicato ai pensieri di corsa, visibile qui.
Uno spazio dedicato ai libri legati all’attività fisica in una chiave nettamente diversa da quella degli integralisti del fitness, perché io all’imposizione “devi fare sport perché fa bene”, non ci ho mai creduto. Fa bene, se lo vuoi fare, altrimenti è una sofferenza inutile.
Ad ogni modo mi sono imposta di scrivere un libro alla settimana con un andamento costante, come vorrebbe essere, il mio allenamento, si metta agli atti che ho detto vorrebbe.
Nella vasta gamma di libri sull’argomento, facendo sempre attenzione ad evitare i titoli da invasati, mi sono imbattuta in Murakami.
L’arte di correre, è la sua storia personale dalla decisione di abbandonare la gestione del suo locale per dedicarsi alla scrittura, fino alla cessazione di 60 sigarette al giorno in favore delle scarpe da jogging.
Le pagine fanno sempre un confronto tra la sua professione e la corsa, in un diario che racchiude le sue esperienze di maratoneta in giro per il mondo, la sua fatica, gli allenamenti e i traguardi raggiunti.
Se c’è una cosa che amo nei libri dedicati alla corsa è leggere i fallimenti.
Non che mi piaccia vedere la gente soffrire ovviamente, ma il problema dello sport è che tutti ti dico quanto sia bello e mai nessuno ti dice quanto è faticoso. Quanti tentativi non riusciti ci siano prima di ottenere qualcosa di buono.
Nella mia personalissima esperienza posso dire che la prima volta che mi sono affacciata alla corsa ho deciso di fare la maratona di New York aderendo ad una iniziativa geniale che si chiamava “dal divano alla maratona”. Già il titolo era abbastanza esplicativo del livello dei partecipanti.
Attorno a me, tutti mi dicevano: vedrai che correre è bellissimo, è una liberazione, ti sentirai benissimo. Ora io vorrei solo dire che:
- Ho sempre faticato a livelli estremi
- Non sono mai riuscita a godermi davvero una corsa perché ero troppo impegnata a non morire
- l’allenamento costante non è mai stata una mia peculiarità, motivo per cui: ho sempre faticato a livelli estremi e non mi sono mai goduta una corsa.
- Poche cose danno una soddisfazione così elevata come finire una maratona, motivo per cui ci ricaschi sicuramente un’altra volta nonostante i punti 1 e 2.
Murakami però non mi assomiglia affatto, lui è in grado di correre 60 km alla settimana ogni settimana con picchi di 360 km al mese. E’ quello che si dice prendere uno sport sul serio.
Però lo fa con leggerezza conscio della fatica e dei risultati inattesi. Non si dà per vinto che è la cosa essenziale insieme alla costanza. Non dà consigli, ti racconta il suo punto di vista.
Leggere le esperienze di chi fatica a raggiungere il risultato ti fa sembrare lo sport più accessibile,
forse per questo non amo i libri che promettono risultati strabilianti in 30 giorni, la certezza quando si tratta del corpo è tutt’altro che matematica.
Se devo trovare una formula mi sento di suggerire il motto della mia palestra di yoga, che così senza insistenza o pressioni dice solo: Practice is everything.
E allora dai proviamoci no? Un po’ meno di Murakami, un po’ di più di niente.
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