E’ il 1887 quando Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran, reporter del New York World accetta l’incarico del suo direttore di effettuare un’inchiesta giornalistica sui sanatori femminili americani.
Il compito è tutt’altro che semplice: rimanere rinchiusa dieci giorni in manicomio sull’Isola di Blackwell.
L’inchiesta giornalistica
L’articolo a cui ha seguito poi il libro omonimo Dieci giorni in manicomio, (link Amazon) è una delle primissime inchieste giornalistiche della storia e Nellie Bly fu la prima giornalista sotto copertura che il mondo redazionale abbia conosciuto.
Nellie Bly mette in scena una farsa: si finge pazza e la sua interpretazione è talmente credibile, che dopo un rapido processo davanti al giudice, viene assegnata insieme ai “casi senza speranza” alle cure mentali che si riservano ai malati nell’isola di Blackwell.
Qui sperimenta in prima persona i terribili trattamenti a cui sono sottoposte le donne richiuse: percosse costanti, privazione del sonno, bagni gelati, norme igieniche inesistenti e assistenza sanitaria inadeguata.
Per tutto il suo periodo di detenzione, racconta di venire in contatto spesso con donne sane come lei, la cui unica colpa era di non conoscere la lingua o di essere state vittime di alcune malattie fisicamente debilitanti o mentalmente sane ma rifiutate dalla società e dagli affetti famigliari:
Prendi una donna perfettamente sana, rinchiudila in una stanza gelida e costringila a sedere dalle 6 del mattino alle 8 di sera, impedendole di muoversi e di parlare, alimentala con pessimo cibo, senza mai darle notizie di ciò che accade nel resto del mondo e vedrai come, ben presto, la condurrai alla follia. Due mesi sono sufficienti a provocarle un vero e proprio esaurimento fisico e mentale.
Post – Dieci giorni in manicomio
La sua detenzione durò appena 10 giorni, che le furono comunque sufficienti per redarre un testo che fece un grande scalpore, a seguito del quale, una commissione stanziò 1.000.000 di dollari per apportare una riforma degli istituti di igiene mentale.
Il libro che uscì successivamente al grande successo dell’articolo è breve, solo 95 pagine, ma di una intensità e di un peso che ne valgono almeno il doppio.
Il linguaggio giornalistico non lascia fronzoli, piuttosto un racconto oggettivo in prima persona della sua reale esperienza vissuta e della situazione sanitaria americana per le donne affette da patologie mentali.
Per gli appassionati di inchieste giornalistiche mi sento di consigliare un altro grande classico del settore sullo scandalo Watergate, Le Carte segrete del Post di K.Gram.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!