Storia di un biglietto da visita, un finto morto e un meccanico.
Daniel Pennac ci racconta come al solito una storia. Questa volta il protagonista è un giovane medico il dott. Galvan, figlio di medici, fidanzato con una donna proveniente da una dinastia di medici, con l’idea di dar vita in un prossimo futuro ad altri medici.
La mia famiglia (tutti medici sin dall’epoca di Molìer, la medicina è la più diffusa malattia ereditaria) mi trovava esemplare.
La sua ossessione più che la professione è il biglietto da visita. Sì, quel cartoncino bianco che si tiene tra i polpastrelli, si presenta al prossimo e in poche efficaci frasi identifica il tuo stato sociale.
Una domenica notte al pronto soccorso, tra i malati di ogni genere e specie, mentre Galvan è intendo a progettare il suo biglietto da visita, che secondo la sua idea dovrebbe citare : “Mago della medicina interna”, appare nel corridoio un signore che non riesce a pronunciare altro che la frase “non mi sento bene” e stramazza al suolo come corpo morto cade.
Da qui in poi si susseguono rocamboleschi cambi di diagnosi snocciolate ogni volta da uno specialista diverso interpellato a risolvere l’enigma. Quando sembra che sia chiara la causa del malore dell’uomo e la terapia da adottare, cambia il sintomo: occlusione intestinale, esplosione della vescica, attacco epilettico, attacco cardiaco.
Quasi al termine della notte lasciamo il giovane Gerard addormentato al capezzale del paziente, ormai dato da tutti per spacciato.
Al mattino dopo, il malato non c’è più.
Nessuno sa il suo nome, nessuno l’ha visto uscire, nessuno sa come cercarlo.
‘Giovanotti, la lezione si annuncia istruttiva, i vostri quasi colleghi mi invitano a fare la lezione di anatomia a Rembrandt, ma su un letto vuoto’.
Ecco così che nel bel mezzo della riunione indetta dal luminare dell’ospedale per definire lo stupefacente caso clinico l’uomo riappare in tutto il suo splendore: vivo, vegeto, sano.
E qui una battuta finale prima dell’epilogo chiude un bellissimo racconto scritto magnificamente, in cui tutte le parole sono scelte con cura, tutto il contesto compare per magia dal libro e i personaggi prendono vita in un palcoscenico immaginario.
Consigliassimo per la pausa pranzo è lungo 77 pagine, divertente e ben costruito vi strapperà il sorriso persino di lunedì mattina!
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